/laboratori

Katzelmacher, due seminari in uno

Orari

20 Febbraio 2012
dalle 10:00 alle 18:00

Per info e iscrizioni

lunedì 20, martedì 21 e mercoledì 22 febbraio
h 10.00/18.00

Katzelmacher
Espressione idiomatica dispregiativa, significa più o meno “terrone”
1939: i sudtirolesi si trasferirscono in Tirolo,
immediatamente chiamati katzelmacher dai ‘tedeschi’,
termine dispregiativo usato per definire gli ‘italiani’.

il lavoro d’attore
Più che un laboratorio su Katzelmacher pensiamo a un seminario, in cui grazie alla scrittura e al lavoro richiesto da Fassbinder, si mettano gli attori che parteciperanno in condizione di conservare una maniera d’operare nella costruzione del personaggio e del paesaggio/mondo che ogni spettacolo richiede. Lo studio si concentrerà su tre piani: la costruzione dei personaggi a partire dai pochi tratti del testo, lavorando sul profilo emotivo e sulle micro caratteristiche del gesto espressivo; la scrittura scenica necessaria a formare l’ambiente sociale e il principio del coro-branco su cui tutto il testo gira; l’architettura dello spazio, esclusivamente disegnato dal movimento dei corpi e dalle voci in concertato, in un ambiente vuoto d’ogni elemento scenografico.  Il lavoro sarà suddiviso in una parte di training fisico, di analisi del testo e una sezione che riunisce i due piani, su scena.

la drammaturgia
Ci piace immaginare una sorta di officina di scritture, che parta appunto da un testo quasi ‘irrappresentabile’, se dovessimo stare alla povertà del linguaggio, per tirare fuori le linee drammaturgiche, la lingua, i temi e le tecniche con cui Fassbinder ha strutturato il testo, personaggi e relazioni, ma soprattutto il minimo indispensabile con cui è riuscito a fare mondo. Utilizzando, non a caso, un plot semplicissimo e un lessico da ‘provincia dell’anima’, scarno ritmico e imprevedibile, e tutto il vuoto  necessario ad adombrare uno spaccato sociale che riesce a scivolare senza attrito dagli anni settanta al XXI secolo.
Eventualmente il laboratorio verrà articolato su un lavoro di riprese ‘dal vivo’, che aggiungano, oltre la drammaturgia, un piano di relazione tra personaggi e tra il personaggio e il proprio ‘primo piano’.

note di regia, ora note d’orientamento al lavoro
Questo insolito testo di Fassbinder è un racconto sul fascismo di provincia, sui sistemi coercitivi del branco, e sui meccanismi di sopraffazione.  Su laceranti sensi d’inferiorità.  Sugli stereotipi, dell’immaginario e del linguaggio.  La vicenda si può ridurre a poche righe, quasi sconcertante nella sua banalità: intorno al 1970 in un’imprecisata cittadina tedesca – il cui sostanziale benessere è tenuto ostinatamente fuori campo – l’arrivo di un lavorante straniero scatena i pettegolezzi, l’astio e i desideri di un gruppo di giovani, fino a raggiungere una piega violenta che si risolve però in un miserabile niente di fatto.  I giovani di Fassbinder hanno tutte le distorsioni della società in cui abitano e in cui, pure, non riescono a integrarsi: indolenti, opportunisti, diffidenti, genericamente xenofobi, vigliacchi e violenti.  E, soprattutto, privi di desideri abbastanza saldi da spezzare questo inconsapevole e allucinatorio rito di gruppo.  E un senso di terrore imminente scivola giù da ogni singola parola.  Il testo è prosciugato e crudo fino ad essere quasi artificiale: le battute sono sommarie e concise, ma è proprio il tratto veloce a lasciar trasparire d’improvviso il profilo dei personaggi, la direzione degli sguardi e ogni sotterranea, quasi involontaria, intenzione.  Il retroterra è sì sociale e politico, ma Fassbinder guida la scrittura su un piano assolutamente emotivo, muovendosi tra fantasie, insinuazioni e tensioni improvvise, il cui ritmo è serrato, lentissimo o assolutamente statico.  Ma che mai, mai riesce a esplodere in tragedia.  C’è infatti anche qualcosa d’impersonale nei tratti degli undici protagonisti, tutti come già interpreti di un comportamento sociale collettivo, che per una sorta di legge del profondo, obbedisce a pulsioni antiche e inconsapevoli, destinate a ripetersi ossessivamente. La drammaturgia si struttura così in un accumularsi di micro-narrazioni su fatti avvenuti altrove, frasi fatte su esperienze mai vissute a pieno, racconti frammentari e ripetuti, parziali e insinceri. Nessuna azione effettiva viene compiuta, e la forma pettegolezzo, l’atto parziale o il dialogo lasciato cadere, sembrano assorbire ogni istanza vitale. In luoghi interamente spogliati da connotazioni, sono i corpi a disegnare gli spazi su una cadenza da montaggio cinematografico suggerito dalla stessa scrittura: la sovrapposizione tra scene, la coabitazione tra primo piano apparente e campo lungo, il costante sentore di un ‘fuori campo’, le separazione improvvisa per branchi, consegnano allora ogni parola alla forma pubblica, alle sue indiscrezioni e alla sottile violenza dello sguardo.  Katzelmacher forse non è altro che un ammasso di narrazioni parziali, inconsistenti e tragicamente indispensabili, per azzardare una prospettiva ‘di provincia’ su questi eterni figli di quei cattivi padri, che hanno affidato alla cronaca di una posa fotografica e di un calendario di giornali proiettati fuori campo, la memoria, la voracità e i cosiddetti sogni dell’intera Europa.  Una breve immagine intermittente si sovrappone a quell’ultima posa fotografica, non chiaramente visibile, a evocare una memoria non raccontabile che per pochi istanti va a fuoco: una distesa di mani levate, oggetto-shock concreto che si dà a vedere a fondo palco, senza commento.

Il costo del laboratorio – rivolto a un massimo di 15 partecipanti – è di 80 euro.
Per informazioni e iscrizioni: inviare curriculum a lacasadargilla@gmail.com
Scadenza iscrizioni: giovedì 16 febbraio
L’accettazione al laboratorio verrà comunicata il giorno successivo.
Il testo teatrale oggetto del laboratorio verrà spedito via mail o potrà essere ritirato il giorno dell’iscrizione.